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StreetUrban Art Photography

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Miss Me

Su uno sfondo rosso sangue, Miss Me – in collaborazione con CHEAP – propone 150 metri di poster dedicati alle lotte femministe, alla presa di coscienza di sé attraverso la riappropriazione del proprio corpo e alla rivendicazione del piacere personale. Il suo esercito di vandale è pronto a combattere e ti urla in faccia le proprie battaglie, senza lasciare vie di scampo.
Ho conosciuto Miss Me l’ultima sera della sua incursione bolognese, esausta da 4 giorni di lavoro ininterrotto ma con una scintilla negli occhi che non le va mai via.
Si è tolta la maschera e mi ha raccontato il suo mondo.

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© Robby Rent,
Bologna (ITA), 2018

Ti definisci artful vandal, ‘vandalo geniale’. Cosa ti differenzia rispetto all’etichetta di street artist?
«Non mi piace definirmi street artist perché lo ritengo un termine molto di moda.
Da un paio di anni c’è troppo hype attorno a questo mondo, sono in tanti a cavalcarne l’onda e non voglio identificarmi con loro. Non ho iniziato perché questo tipo di arte è cool, ma perché per me è stata, e lo è tuttora, una cura per riprendermi da una violenza subita in passato.
I miei lavori sono esclusivamente di carta poiché troppo elaborati per essere dipinti con spray o vernici e lascio sempre un messaggio forte pur non distruggendo nulla in modo permanente. Ciononostante il mio lavoro viene considerato vandalismo a tutti gli effetti. Ci scherzo sopra, ma se ci pensi bene emerge un contrasto interessante tra queste due parole, vandalo e geniale, normalmente appartenenti a mondi distanti tra loro. La definizione è una presa in giro, ma è esattamente quello che faccio. Così quando lavoro in strada e qualcuno si ferma chiedendomi ‘cosa combino’, solitamente rispondo ‘hey, questo è vandalismo geniale’.»

Quindi detieni il copyright di questo termine?
«Non sono di certo quella che dice alla gente cosa può fare… però credo sia abbastanza ovvio.» [ride]

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© Robby Rent,
Bologna (ITA), 2018

Le tue opere parlano di lotte, di donne, ma anche di società, etnie e religioni. Dove trovi ispirazione?
«Dalla mia vita. Sono una persona molto arrabbiata: ci sono diverse questioni e atteggiamenti che mi disturbano. Fare arte è per me un modo di urlare più forte, urlare più a lungo, avere un eco maggiore, prendere più spazio. I corpi femminili che disegno seminudi e affiggo in strada gridano rabbia e rivolta a denti stretti, ma non hanno lo scopo di creare scandalo. Si tratta solo del mio pensiero che riaffiora con forza e si scaglia contro una mentalità e una modalità presenti nella società che finora mi hanno oppresso. Voglio instaurare un dialogo, fare capire che le donne non devono essere sempre sensibili ed eleganti mentre solo gli uomini sono autorizzati a fare quello che vogliono. Nascere donna ancora oggi significa farsi carico di un peso non voluto, quello del rapporto irrisolto dell’umanità col sesso. Le donne imparano ad adattarsi ad un sistema patriarcale che le colpevolizza per la cattiva condotta maschile e ciò non mi sta bene.
Al contrario, mi fa piacere che sempre più persone si riconoscano in quello che faccio e che la mia voce si possa unire alle loro. Lo trovo sorprendente. Ora ne sono sempre più consapevole, continuo a incontrare e a discutere con nuove persone, leggo, condivido tantissime storie legate dagli stessi ideali. Onestamente non ho iniziato per gli altri, come dicevo prima l’ho fatto per me stessa e per le persone che come me hanno provato lo stesso peso e la stessa sensazione di costrizione. Sentivo la necessità di raccontare la mia verità perché se non sono io a farlo saranno altri a farlo per me. Questo non lo posso tollerare.»

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© Robby Rent,
Londra (UK), 2017

La scorsa settimana a Bogotà ho parlato con alcuni artisti locali che hanno fatto una sorta di censimento tra loro dal quale è emerso che su 4000 artisti attivi in tutta la Colombia solo 400 sono donne.
Dalla tua esperienza, ricca di conoscenze e viaggi, ritieni che sia davvero più difficile per voi donne?
«Per un’artista donna è sicuramente più impegnativo, specialmente se mamma, perché – anche se il padre è presente – è lei nella maggior parte dei casi a prendersene cura. Facendo questo tipo di lavoro siamo molto spesso fuori dai confini del paese, più che fuori casa, quindi puoi ben capire…
Una differenza è che a livello sociale veniamo giudicate più spesso per le nostre azioni rispetto agli uomini. Sai ad esempio la gente che dice ’non hai più 18 anni, devi pensare bene ad ogni cosa che fai e alla tua carriera’… ma a parte questo, non credo sia più difficile.
Non ci manca niente.
Ai tempi nostri è dura per tutti, là fuori abbiamo sempre meno modelli positivi con i quali identificarci e questo può risultare un po’ scoraggiante.»

Ora ti voglio mostrare una foto che ho scattato qualche anno fa nella tua città, Montréal. Mi sembra di capire che questo sia davvero un posto speciale per te.
«Oh sì, proprio così!
Questo posto è stato per tanto tempo un cinema porno, chiamato Vidéo Erotica. Si trovava nella zona a luci rosse di Montréal, quartiere di bande, droga e prostituzione. Ora quest’area è stata ripulita e riconvertita quasi completamente, ma quando mi sono trasferita in città 20 anni fa, era la parte più problematica in assoluto. Mi voglio spiegare meglio perché le questioni sono sempre complesse e la gente tende a semplificare. Non ho niente contro i porno. Sono un essere umano, li guardo anche io. Ho un grosso problema però contro l’industria del porno per come spesso si comporta nei confronti delle donne. Quindi, questo palazzo non era un problema in quanto cinema porno, ma per lo stato di abbandono e sporcizia in cui si versava. Non era un posto sano per il sesso, a differenza di luoghi creati appositamente con quel fine. Considera che era aperto 24 ore al giorno, mi ricordo persone che entravano e uscivano di continuo, ad ogni ora. Così ho deciso di riconquistarlo, era un edificio dove il corpo femminile e la sessualità venivano vendute e sfruttate. Ho creato sui muri il mio esercito di vandale, ragazze che non sono qui per altri, ma che combattono per se stesse.»

Parlando invece di Bologna, è la seconda volta che ti vediamo in città. Quest’anno hai portato un progetto importante.
«Sì, l’anno scorso ero solo di passaggio con mio fratello. Quest’anno invece ho lavorato con CHEAP, grazie a Stikki Peaches che è un’amicizia comune. Lui mi ha consigliato di entrare in contatto con le ragazze di CHEAP perché condividiamo molte idee e così, in collaborazione con il Festival della Violenza Illustrata, è nata l’ispirazione per creare il muro. E’ uno dei miei pezzi più grandi, 150 metri.  Alcune frasi sono in inglese, lingua con la quale solitamente mi esprimo, perché so che a Bologna ci sono molti congressi e meeting internazionali oltre al turismo. Ho utilizzato anche frasi in italiano perché volevo contestualizzare il mio lavoro e comunicare con il maggior numero di persone possibile. ‘Taci anzi parla’ è una citazione di un libro della femminista  Carla Lonzi. Con CHEAP abbiamo cercato di mettere insieme diverse generazioni di femministe, la situazione attuale, eventi di questo territorio. Sai, femminismo è una parola che io definisco plurale perché comprende moltissimi aspetti e il mio lavoro qui cerca di unire tanti punti di questo tema.»

Farai qualche altro intervento vandalico & geniale qui in città?
«Ho ancora un’intera notte prima di ripartire…»

© Robby Rent