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StreetUrban Art Photography

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Cake$

Una volta attraversato il checkpoint che conduce nel West Bank è difficile non imbattersi nei lavori di Cake$. Lavora sotto il peso di una sempre più oppressiva occupazione israeliana. La sua missione? Lottare con stencil e vernice per affermare i suoi diritti e la sua esistenza.

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© Robby Rent
West Bank (PAL), 2019

Con le tue opere trasformi la Palestina in un parco giochi dove i bambini giocano con filo spinato e bombe, ma sono sempre felici.
«Il filo spinato fa parte della mia vita, a partire dall’infanzia. Mi ha sempre fatto sentire in trappola, fisicamente e mentalmente. Sai, è nato per tenere le mucche nello stesso posto senza farle disperdere e ci ricorda costantemente che per alcune persone non siamo altro che carne. Nei miei stencil vedo il filo spinato come una limitazione dell’infanzia. I bambini in Palestina non hanno libertà, pur non avendo fatto niente di male. A causa dell’occupazione, non hanno infrastrutture, spazi in cui giocare, niente per cui essere felici. Eppure con la loro immaginazione infantile vedono solo il positivo. I bambini sono privi della concezione del mondo esterno e non capiscono cose come razza o nazionalità. È una distinzione fatta da chi ha il potere: adulti.»

La tecnica che usi è molto efficace: stencil di un solo livello, nero, con un messaggio potente..
«Per me è fondamentale dire qualcosa di importante. Sai, stando all’idea di Will Gompertz dove l’artista è un imprenditore, con l’arte si cerca di abbellire e in generale di guadagnare. Qui siamo in Palestina, una prigione a cielo aperto. Non dipingo sul muro per renderlo più bello, lo faccio perchè ho un messaggio da dire. Uno stencil nero su sfondo bianco è una decisione quasi naturale se vuoi creare qualcosa che abbia un significato potente.»

Da dove arriva il nome Cake$?
«Dipingere per strada è come distribuire torte tra la comunità. La maggior parte dei murales sono colorati e belli ma, sfortunatamente, privi di significato. Ecco, per me questo tipo di arte è vuota. Cerco di dipingere qualcosa di importante e il nome che uso serve a ricordare a me stesso che il mio lavoro deve avere un significato. Il simbolo del dollaro invece mi ricorda di non farlo per soldi ma per le mie idee.»

Banksy ha recentemente aperto il Walled Off Hotel vicino Betlemme. Alcuni parlano solo di trovata commerciale ma i palestinesi pensano sia positivo per la comunità?
«Ma certo! E’ senza alcun dubbio qualcosa di positivo per noi. Vediamo molti più turisti, abbiamo più visibilità internazionale un numero sempre maggiore di persone viene a conoscenza della nostra situazione. Inoltre ha dato lavoro alla popolazione locale.»

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© Robby Rent
West Bank (PAL), 2019

Jorit invece è stato arrestato dall’esercito israeliano mentre dipingeva il ritratto di Ahed Tamimi, attivista palestinese. E’ rischioso per gli artisti dipingere qui?
«Non posso dire che sia semplice. Il muro di confine ha torri occupate dall’esercito israeliano e solo alcune sono vuote. Quindi, per prima cosa devi essere a conoscenza di quelle sgombre per non essere visto immediatamente. Ad ogni modo bisogna essere veloci ed invisibili. Io lavoro sia di giorno che di notte e nascondo stencil e vernici nello zaino, o meglio ancora, nella felpa. Negli ultimi anni non ho avuto grossi guai…»

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© Robby Rent
West Bank (PAL), 2019

Israele vi ha ‘omaggiati’ con 438km di muro, non sono forse un po’ troppi?
«Dipingere sul muro è leggermente differente dai lavori in strada; è un’azione collettiva con un significato ben preciso e a volte alcune opere durano molto poco. Mi piace l’interazione con altre scritte e disegni di protesta, è proprio questo lo scopo.
Credo che ogni persona abbia il diritto di viaggiare. Le notizie che leggo sulla possibilità di costruire nuovi muri, ad esempio negli Stati Uniti, mi fa sentire come quando hanno iniziato a costruire questo in Palestina.»

Come vedi il futuro?
«Senza muri o confini.»

 

© Robby Rent